Il mio giudice di Maria Pia Daniele è un testo teatrale che nasce da un lungo e sofferto lavoro. Lo misi in scena nel 1993 e lo spettacolo fu scelto per rappresentare l’Italia alla Bönner Biennale (Bonn, giugno 1994).
Siamo in un ambiente apparentemente tranquillo, una grande casa allestita secondo i canoni del paradiso borghese: agi, comodità, fiori recisi, il pianoforte, una collezione di pistole, un grande ritratto del padre di Hedda. Anche il paesaggio umano sembra confortante: una coppia appena sposata con un promettente futuro, una zia premurosa, un amico di famiglia, un uomo che torna alla rispettabilità e al lavoro, dopo qualche sbandamento, ispirato dalla pura dedizione di una donna. Ma niente è quello che appare nella fortezza che ha fondato i suoi valori su un grande equivoco: l’elusione della morte attraverso la fede nei beni materiali e nella protezione di maschere e convenzioni.
Composta nel 1947, la commedia trae spunto da un fatto di cronaca che negli anni ’30 sconvolse l’opinione pubblica francese: due domestiche a servizio presso una ricca famiglia borghese uccisero atrocemente la loro padrona e sua figlia. Nel testo di Genet, l’omicidio è l’ultimo atto di un macabro teatrino che ogni sera le sorelle Claire e Solange Lemercier allestiscono di nascosto dall’amata/odiata padrona. In un perverso gioco delle parti, le due cameriere, a turno, vestono i panni di Madame, la imitano, fingono di vivere nella sua agiatezza per poi, alla fine del rito, ucciderla. Ma il confine tra finzione e realtà si fa sempre più labile…
Riprendendo l’ispirazione canor-recitativa inaugurata con il fortunato Embargos (disco e recital insigniti del premio UBU 1994), altalena incessante di brani di scrittura e di canzoni, Enzo Moscato torna alla musica con Cantà: ulteriore passeggiata sconfinante tra parola e ritmo, riflessione ironicamente metafisica sul canto e corpo, o estensione fisica, del canto medesimo.
Pilato, Erode, Caifa. Tre rappresentanti del potere: quello civile – imperialista e locale – e quello religioso del Sinedrio. Tutti e tre, in vario modo, sono responsabili della morte di Cristo. Tutti e tre, messi a nudo dalla straordinarietà dell’incontro con il Nazareno, ne escono profondamente segnati e trasformati.
In questo testo, scritto per il Festival DeSidera di Bergamo e messo in scena dal Teatro di Dioniso, Luca Doninelli sceglie un punto di vista inconsueto per raccontare le ultime ore di Cristo.