STAGIONE 2022/2023: RIPARTE L’ATTESA DI REMO BINOSI

Dopo il successo della stagione appena trascorsa, venerdì 28 ottobre alle ore 21.00 riparte dal Teatro Mancinelli di Orvieto la tournée de L’Attesa di Remo Binosi, portato in scena da Michela Cescon con due interpreti di eccezione come (in o.a.)  Anna Foglietta e Paola Minaccioni. Le scene sono firmate da Dario Gessati, i costumi da Giovanna Buzzi, il disegno luci da Pasquale Mari, i suoni da Piergiorgio De Luca. Ancora una volta compagno di viaggio è TEATRO STABILE DEL VENETO  cui si aggiungono FONDAZIONE MUSICA PER ROMA, TEATRO STABILE DI BOLZANO, ATCL Circuito Multidisciplinare del Lazio per Spazio Rossellini Polo Culturale Multidisciplinare della Regione Lazio. Il testo è pubblicato da La Nave di Teseo di Elisabetta Sgarbi (marzo 2022)

Lo spettacolo approderà al Teatro Carcano di Milano martedì 8 novembre (repliche fino a domenica 13 novembre)  (scopri tutte le date)

L’Attesa è il testo che ha fatto conoscere  l’autore veneto – scomparso prematuramente nel luglio del 2002 – al grande pubblico permettendogli di conquistare il «Biglietto d’oro Agis» come migliore novità italiana nel 1994 – ne l’indimenticata produzione di Teatro Due di Parma diretta da Cristina Pezzoli ed interpretata da Maddalena Crippa ed Elisabetta Pozzi (che rimane per altro ad oggi l’unica messinscena del testo degna di nota)– e che nel 2000 è diventato un film, Rosa e Cornelia, diretto da Giorgio Treves. Ventisei anni dopo, Cescon ha deciso di riproporlo con due interpreti molto amate dal pubblico: Anna Foglietta e Paola Minaccioni, per la prima volta insieme sul palco per dare corpo e voce alla nobildonna Cornelia e alla serva Rosa.

Il testo di Binosi ha una grande forza drammatica e di coinvolgimento cui è difficile rimanere indifferenti e – nonostante l’azione sia ambientata nel ‘700 – i temi e i contenuti sono universali:  anche oggi a tanti anni dalla sua scrittura, è un testo contemporaneo, caratteristica che solo le grandi opere hanno. Il rapporto serva-padrona, il doppio, il grande seduttore Casanova, la maternità, il male, la morte – sono raccontati con cambi di registro narrativo: dalla commedia al dramma, dal noir fino a sfiorare la tragedia. Il linguaggio è originale e sorprendente, con una naturale vis comica che garantisce una presa certa sul pubblico, paragonabile a quella dei testi di Goldoni e di Eduardo. La particolarità della messinscena di Cescon è che parte dalla prima stesura che l’autore veronese fece del testo – datata 1991 – che presenta notevoli differenze rispetto a quello portato in scena nel 1994: la nutrice ha un ruolo decisamente più marginale che in questa messinscena scomparirà completamente; i dialoghi sono più scarni, quasi bergmaniani; l’azione si concentra totalmente sulle due protagoniste e sull’evoluzione del loro rapporto durante la forzata clausura.

«…I personaggi sono empatici, emozionanti, veri e si prova per Rosa e Cornelia grande simpatia: soffri con loro, le ami con dolcezza, le adori, partecipi prima con una, poi con un’altra, poi con tutte e due…e alla fine non ti sorprendi di pensare che forse potrebbero essere la stessa persona. L’Attesa è proprio un testo per il palcoscenico, per gli attori, pieno d’invenzioni molto riuscite. Tutto è raccontato con freschezza e con un erotismo naturale nei confronti della vita e del mondo. Alle due attrici viene richiesta un’ adesione fisica ai personaggi totale, e il loro stare in scena diventa molto sensuale, non per un finto gioco di seduzione, ma per la loro immersione nel racconto; un racconto sui corpi femminili, sulla punizione per il desiderio, la punizione di essere donne, sulla maternità, sull’amicizia, sull’amore, sul piacere, sulla lealtà, sulle differenze di classe… due voci femminili che diventano un gran bel punto di vista, per portare in scena il nostro sguardo più personale ed intimo. I temi affrontati sono universali e, pur essendo ambientato in Veneto nel ‘700, sentiamo la loro storia molto vicina. Il dramma è costruito attorno a due donne che vengono allontanate e rinchiuse per nove mesi per nascondere entrambe una gravidanza. Si racconta una clausura, un’impossibilità ad uscire e mai, come in questi tempi, l’idea teatrale, anche semplice, di chiudere due personaggi all’interno di una stanza diventa vera, reale e sentita. Insieme ai miei collaboratori abbiamo costruito un luogo scenico che rappresenta la mente di Cornelia, il diario su cui lei scrive, dove la chiusura o l’apertura dei muri è metafora di una condizione interna, della vita del cuore; mentre la relazione con l’esterno viene raccontata dalla luce e dal buio, dalle ore del giorno e dai suoni della campagna estiva, e dalla natura prepotente che le circonda. La messa in scena ha un segno classico, per omaggiare il grande teatro, e alle attrici viene chiesto di non uscire mai, di avere a che fare solo con il loro corpo. Gli unici oggetti con cui lavorare sono un letto, due sedie e gli abiti dai colori forti e simbolici che con loro danzano una partitura serrata di cambi e di trasformazioni. Lo spettacolo ha un sapore nordico, un rigore fatto di direzioni, ritmo e spazio, per riuscire a riportare ciò che sentii dopo la prima lettura della prima stesura  de L’Attesa, ovvero il ritrovare  drammaturgicamente nel testo tutto ciò che c’è di materico e forte nel teatro veneto, nella mia lingua originaria, specialmente quello goldoniano, sapientemente mescolato ad autori amatissimi come  Bergman, Ibsen, Strindberg e anche Genet».                                                                                                         Michela Cescon

«Mia moglie era in attesa di nostra figlia Giulia e io stavo leggendo le memorie di Casanova. Le avventure del grande seduttore si accompagnavano all’esperienza che stavo vivendo, con il procedere della gravidanza il corpo di mia moglie cambiava e insieme cambiava anche il rapporto che lei aveva con sé stessa e con le altre donne. La sentivo parlare con le sue amiche e intessere facilmente discorsi anche con donne molto diverse da lei, si scambiavano emozioni, consigli, paure e speranze. C’era tra loro una corrente di grande energia comunicativa. Proprio a partire da un dato intimo come quello del corpo gravido, le donne costruiscono una rete di confidenza e complicità di cui gli uomini sono assolutamente incapaci. Il maschio mito Casanova con la sua dispersiva sessualità, mi sembrava la prova di questa incapacità, cominciai così a pensare a una storia che mettesse a confronto. donne diverse entrambe incinte dello stesso uomo assente»

Remo Binosi

Nel 2022 ricorre anche il ventennale della prematura scomparsa di Binosi, personalità originale ed eclettica: giornalista e autore di teatro, ci ha lasciato testi interessantissimi per l’impronta non realistico e spesso  dedicati alle donne con profondità e leggerezza: oltre l’Attesa ricordiamo il Martello del Diavolo, La Regina Margot, Betty.

https://www.teatrodidioniso.it/wp-content/uploads/Elle-10-marzo22.pdf

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https://www.teatrodidioniso.it/wp-content/uploads/informazione.it-Lattesa-recensione-100322.pdf

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R.L.

R.L.,

Roberta Legge oppure Radicali Liberi, o ancora Roberta Legge Radicali Liberi.

Un’installazione, un dispositivo performativo.

Da farsi al tramonto. Con l’arrivo del buio una voce ci conduce, attraverso le radioguide, nel mondo di Alice Munro, la scrittrice canadese Premio Nobel per la letteratura.

Nella stanza gli spettatori siedono su due lati dello spazio. Dal vivo vengono proiettate alcune delle 1200 foto dei particolari degli oggetti della casa di Roberta che punteggiano il racconto, e ne sottolineano le risonanze particolari, le coincidenze personali.

La storia è quella di una donna in un momento di massima vulnerabilità.

La Munro fa della sua protagonista una sorta di Sherazade moderna capace di salvarsi la vita con il solo potere della parola.

La violenza in tutte le sue forme, da quella macroscopica a quella minima insita nelle parole, nei piccoli gesti di una vita è esplorata, tutta trattenuta nella pericolosità del linguaggio.

Lo spettatore segue le parole della Munro e la voce di Roberta. Un teatro d’ascolto.

RL è un racconto di una ventina di pagine che è esempio della scrittura efficace ed appassionante della Munro, che dei racconti brevi al femminile è indiscussa maestra.

Il recente premio Nobel per la scrittrice canadese è solo l’ultimo tassello di una serie impressionante di riconoscimenti. È da un po’ che ragionavamo intorno alla Munro e a come realizzare in teatro questo racconto. Le parole della Munro ben si fondono con la nostra idea di un teatro che accade nella realtà condivisa da attore/spettatore. Vorremo mettere in scena non la rappresentazione di una storia ma la lettura di un testo interpretato dalla nostra esperienza di lettori.

R.L.

con: Roberta Bosetti e Renato Cuocolo

ideazione: Renato Cuocolo

produzione: IRAA Theatre (Melbourne), Teatro di Dionisio (Torino)

Sono disponibili anche le altre produzioni di Iraa Theatre

SALE E TABACCHI ZIE E PICCIONI. DUE ATTI UNICI DI ALDO NICOLAJ

Irene Ivaldi, attrice che all’interno di Teatro di Dioniso conduce da anni una personale ed appassionata ricerca teatrale – che l’ha portata a dare vita sulla scena a personaggi quali Livia Serpieri (protagonista di Senso di Boito), e Anna Karenina – decide di affrontare l’ironia corrosiva di Nicolaj, portando in scena due dei suoi monologhi femminili: Sale e tabacchi e Zie e piccioni, un un omaggio all’autore piemontese nel centenario della sua nascita

Dice Ivaldi: «È un grande regalo quello che la famiglia Nicolaj ci ha fatto ordinando le opere di Aldo in un unico sito. A un’attrice quell’esposizione generosa di monologhi può dare un po’ le vertigini, come specchiarsi nella vetrina di Baratti, dove la nobiltà calda e liscia del cioccolato si intuisce tra le leziose e chiassose increspature delle confezioni».

Lo spettacolo, è interpretato dando molta importanza alla fisicità e alle peculiarità del linguaggio delle due figure femminili: la bella tabaccaia fresca del funerale del marito (Sali e tabacchi) e la donna scialba ed introversa che ha dedicato la propria vita alla cura di madre e zie paralitiche (Zie e piccioni).

La scena è spoglia fatta di pochi oggetti per indicare i quattro diversi luoghi. Una performance brillante ed irresistibile, un vero e proprio one woman show , dove Irene Ivaldi non si risparmia, e che si adatta a qualsiasi situazione: dal classico palcoscenico, a situazioni più raccolte, a luoghi non specificatamente teatrali.

Lo spettacolo è stato presentato nell’estate 2020 al Festival Internazionale di Cervo (Im,) e al Teatro Carignano a Torino nell’ambito di  Summer Plays

LA DONNA LEOPARDO. LA REGIA

Cari tutti il nostro dionisiaco viaggio nelle pieghe nascoste de La donna leopardo giunge al termine… e lo fa presentandovi colei che ha avuto l’idea e l’ha concretizzata sul palco, che ha assemblato tutti i pezzi di questo complicato puzzle per comporre un quadro unico in cui scena, luci, costumi, musica, parola e movimento si fondono: la regista, Michela Cescon.

Molti la conoscono per averla vista e apprezzata nel ruolo di attrice in film come  Primo amore di Garrone o Romanzo di una strage di Giordana,  solo per citarne 2 fra i più noti, e il nuovo e applauditissimo  l’Uomo senza gravità di Bonfanti (e tralasciamo in questa sede la sua ricchissima carriera teatrale). Con La donna leopardo – di cui come ricorderete ha curato anche l’adattamento drammaturgico con Lorenzo Pavolini – Cescon firma la sua prima regia.

Così spiega perchè la scelta sia caduta proprio su Moravia: È da alcuni anni che penso di portare in teatro un testo di Moravia, non uno dei suoi testi teatrali bensì un romanzo. Ho sempre pensato fossero perfetti per il palcoscenico, e che ci fosse al loro interno quasi una matrice teatrale. Non ho avuto la fortuna di conoscere Alberto Moravia ma, da lettrice, potrei dire che tra i suoi scritti si intuisce un’attenzione quasi registica ad uno spazio scenico, alla luce, ai luoghi come dei dipinti, ai personaggi dai dialoghi perfetti, con una scrittura adatta ad essere portata ad alta voce. Mi hanno sempre incuriosito i suoi racconti, i suoi romanzi brevi, ma quando lessi “La donna leopardo” capì che da lì volevo partire.  E vi diciamo in anteprima, avendo sbirciato le prove, che mai partenza fu più azzeccata. La parola di Moravia vola, il ritmo è serratissimo non c’è spazio per la noia: Cescon ha crato un  meccanismo in cui tutti i tasselli si incastrano perfettamente e che vi terrà inchiodati alla poltrona fino alla fine. Avete ancora dubbi se correre o meno a comperare il biglietto? Speriamo proprio di no… Perchè tutto il lavoro che si è fatto ha un unico obiettivo finale: che la gente lo veda.

Eh sì perchè alla fine il protagonista imprescindibile della creazione teatrale siete voi: il pubblico.

Quindi…. non deludeteci e venite a Teatro! Garantito che non ve ne pentirete

Buona vita a tutti

 

 

‘SCENE DI VIOLENZA CONIUGALE’ A ROMA

Dal 28 maggio al 2 giugno, con due recite quotidiane, alle 18.00 e alle 21.00, presso un appartamento privato (Viale del Campo Boario 4A, Roma) andrà in scena il primo allestimento di Scene di violenza coniugale del drammaturgo anglo-francese Gérard Watkins 

BOTTONI

BOTTONI mette in scena la tradizione della favola, partendo dai classici del genere, puntando su un innovativo metodo di narrazione. Ricreando la struttura tipica di ogni racconto di fate (Il distacco, la sventura, la foresta misteriosa, le terre lontane, la sposa etc.) utilizza a piene mani i personaggi iconici dell’immaginario fiabesco.

Così troveremo insieme Il Principe Azzurro, chiamato qua Affascinante, la Bella Addormentata, Pollicino, Hansel, Gretel, Biancaneve e in una rumorosa Casa di Correzione per i Cattivi delle Fiabe incontreremo insieme alla strega, i quaranta ladroni, l’Orco, Lucignolo e finanche Geppetto, se pur qui per un errore giudiziario. Materiali poveri e quotidiani, facilmente reperibili, attraverso un uso immaginativo diventano i protagonisti del racconto. Su tutto i bottoni, che si trasformano nei personaggi principali, così come un guscio di noce diventa una nave, che per quanto ne sappiamo, può affondare in un bicchier d’acqua.

Insieme al racconto di classici della narrativa per l’infanzia lo spettatore viene esposto e stimolato ad un uso inventivo degli elementi presenti in ogni casa. Viene stimolato alla creazione di un mondo e alla messa in scena partendo da elementi della sua realtà che solo grazie ad uno sguardo diverso possono acquisire sensi, funzioni e significati diversi, stimolando, nel piccolo ascoltatore un uso immaginativo verso la costruzione di universo creativo.

La creatività va come tutte le qualità stimolata ed è proprio questo che il progetto si prefigge. Non solo passivo ascoltatore ma produttore di senso, scopritore di possibilità.

Il tutto viene presentato così come, con successo, è stato sperimentato negli ultimi spettacoli con la produzione video live che segue e approfondisce gli elementi della narrazione trasformandoli attraverso le immagini che rinforzano e/o stravolgono la realtà degli oggetti stessi. Un rametto di foglie diventa un bosco, un biscotto la casa di marzapane…

BOTTONI è una proposta innovativa che si rivolge ad un pubblico di tutte le età

BOTTONI 

di Roberta Bosetti

con Annalisa Canetto e Livio Ghisio
regia Renato Cuocolo

Produzione Arteinscacco, Teatro di Dioniso, Iraa Theatre

I GIGANTI DELLA MONTAGNA VOCE SOLA

Valentina Banci, interprete sensibile e intelligente della nostra scena teatrale (che dalla scorsa stagione collabora con Teatro di Dioniso con cui ha partecipato allo spettacolo la donna leopardo diretto da Michela Cescon, nel ruolo di Ada) si cimenta per la prima volta con un lavoro ideato da lei  e fortemente voluto di cui dice: « Non posso negare che questo progetto sia frutto dei difficili mesi passati a causa della pandemia mondiale che ci ha colpiti e che forse non riuscirà a scalfire il drammatico destino di un mondo sempre più affossato da logiche economiche, un mondo sordo alla voce della Poesia che non riesce più a penetrare nei Bunker di cemento armato che sono diventati i cuori duri di una specie che ha venduto l’anima. Cosa poter dire adesso? Dove trovare le parole? Cosa provare a sussurrare all’orecchio, quali parole possono davvero essere così forti, lucenti, definite da poterci dire, dopo tutto questo? Per me altro non potevano essere che quelle della bellissima ultima opera incompiuta di Luigi Pirandello, I Giganti Della Montagna» .

Così nasce I giganti della montagna. Voce sola.  Un lavoro che Valentina Banci ha presentato per la prima volta quest’estate in una location esclusiva e di incredibile suggestione: le cave di marmo verde di Figline di Prato. Ed ora lo spettacolo è pronto per approdare in palcoscenico.

C’è uno strano essere, né donna né uomo, che arriva come da epoche altre, né lontane né vicine sul palco vuoto, e forse ci aspetta lì da sempre, dove siamo andati ad ascoltarlo, in Teatro, luogo finalmente ritrovato; che proprio nel momento in cui ce ne hanno allontanati abbiamo capito essere necessario, essere davvero il luogo dell’anima perduta, del dialogo con le stelle, della forza dell’utopia. Questo strano Signore/Signora porta in sé tutti i ruoli del testo pirandelliano: li ha nel cappello, nella manica della camicia, nella giacca dello smoking, in uno strano bastone dalle mille voci; e come un Mago che ha come unico gioco di prestigio la sua voce e la fantasia, prova a portarci là, nell’incredibile storia raccontata nei Giganti, che proprio oggi nella sua potenza metaforica, pare racchiudere il destino di ognuno di noi. Una compagnia di attori allo sbando, ridotta allo stremo, sopravvissuti al fine di rappresentare un’unica opera, La Favola del Figlio Cambiato, che la gente non comprende, anzi rifiuta e a cui la primattrice ha immolato la propria esistenza per fedeltà alla parola del Poeta che per lei si è tolto la vita, giungono alla villa degli scalognati, luogo al confine della realtà, dove un gruppo di poveri cristi falliti si è isolato da tutto, avendo perso la fiducia nella possibilità di comunicazione con il mondo là fuori, ma non quella della capacità evocativa della fantasia sotto la guida del Mago Cotrone. Andranno infine, attori e Scalognati, a proporre la recita ai Giganti, abitanti della montagna vicina, simbolo degli invisibili padroni del mondo che manipolano masse acritiche e corrotte a tal punto da non riconoscere più la bellezza e la poesia fino ad ucciderla, ebbri di vino e furenti d’ira.

Una potente metafora sull’agonia dell’arte che deve cercare spazi isolati per esprimersi, al di fuori della società.

Questa Voce Sola è fantasma tra spiriti della notte, e proprio come Ilse, l’attrice del dramma, non si stanca di portare la poesia tra gli uomini, forse senza nessuna speranza di salvezza; dove non si salvano né gli scalognati, né gli attori, né il popolo stesso, né tantomeno i Giganti, produttori di soldi accumulati per pochi e simbolo degli invisibili padroni del mondo.

«Un  testo che può dire tutto e il contrario di tutto, ma che mai come oggi è capace di interrogarci sul senso di questo spingere il mondo sull’orlo del baratro; e proprio come il Teatro non si fa carico di darci nessuna risposta, lasciandoci tra le mani solo un grande punto di domanda, sfocia nel finale in una Voce che appartiene al nostro tempo per scrittura, che è la mia, che azzarda una chiusura con un grido disperato e libero e politicamente scorretto come un cazzotto ben assestato, urlando idealmente il diritto a vivere di ogni talento, al di là dell’onnipotenza assassina con cui il potere decide della vita o della morte di chi gli è gradito. » (Valentina Banci)

Lo spettacolo ha debuttato nell’estate 2020 come evento site specific alle Cave di marmo verde di Figline di Prato;

è stato presentato al Festival Desidera a Ponteranica (Bg) e ha aperto la stagione del Teatro della Contraddizione a Milano il 22 ottobre

FUGA A TRE VOCI

FUGA A TRE VOCI è un progetto di Marco Tullio Giordana, che ha curato anche la regia, intorno all’appassionante relazione fra la poetessa austriaca Ingeborg Bachmann  e il musicista tedesco Hans Werner Henze, testimoniata da un intenso carteggio che si protrae per un ventennio. A dare loro corpo e voce, due interpreti fra i più amati della nostra scena, Michela Cescon e Alessio Boni, contrappuntati dalla chitarra di Giacomo Palazzesi. Lo spettacolo ha debuttato il 1 agosto 2020 proprio nell’ambito del 45° Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano – fondato da Henze nel 1976 .

Hans Werner Henze e Ingeborg Bachmann si incontrano per la prima volta nell’autunno del 1952. Nati a pochi giorni l’uno dall’altra, non hanno che ventisei anni, entrambi stanno tentando di emergere nella scena artistica del dopoguerra, in una Germania ancora in macerie. Il compositore riconosce subito nella giovane scrittrice un’anima affine e una compagna di ricerca poetica: Inge sa dire con le parole ciò che Hans Werner vuole esprimere con i suoni. Inizia una collaborazione feconda e un’amicizia che si protrae per oltre due decenni, caratterizzata dall’entusiasmo, da una continua ebbrezza di vita, di lavoro e, presto, anche dalla disillusione e dall’infelicità. In una complessa partitura a due voci – nella quale se ne inserisce una terza costituita dalla musica di Henze – sfilano momenti di gioia e grande affetto e ogni collaborazione o scambio intellettuale fra i due lascia tracce ben più profonde di quanto il tono spesso svagato lasci supporre. Dove si sfidano i temi caratterizzanti l’opera e le ossessioni di entrambi: l’odio per la Germania nazista, la fuga verso il Sud e la libertà mediterranea, l’isolamento e l’impegno politico, l’ambivalenza della fama e del successo che avranno entrambi, la violenza degli istinti e la gioia della bellezza, la ricerca di un equilibrio tra opera, vita e amore.

La scena è concepita come la buca di un’orchestra: leggii, sedie… entrano i tre interpreti e prendono posto… Inizia lo scambio di corrispondenza – scandito o interrotto dalla musica –  e si compone il mosaico di una relazione straordinaria: Boni/Henze legge le lettere ricevute da Inge mentre Cescon/Bachmann quelle ricevute da Hans Werner, quasi ribaltando i ruoli. Poi Inge si accende una sigaretta ed esce di scena, Hans Werner resta solo con la sua musica. Ingeborg Bachmann morirà il 17 ottobre 1973 dopo un’atroce agonia dovuta alle ustioni provocate proprio da una sigaretta. Una scintilla ha incendiato la vestaglia senza che la scrittrice, intorpidita dai farmaci, fosse in grado di reagire.

Nell’ultimo quadro vediamo Hans Werner ritrovare Inge seduta al tavolino di un bar. Sono passati dieci anni dalla sua morte e il rimpianto di non averla potuta proteggere è lancinante. Inge lo ignora, finge addirittura di non conoscerlo. Un sogno forse o l’estrema proiezione di un senso di colpa irredimibile. Non è una nostra invenzione ma un racconto di Henze.

FUGA A TRE VOCI

drammaturgia e regia Marco Tullio Giordana

liberamente ispirato a Ingeborg Bachmann- Hans Werner Henze «Lettere da un’amicizia»

(traduzione di Francesco Maione, a cura di Hans Holler, EDT, Torino 2008)

edizione originale: Ingeborg Bachmann- Hans Werner Henze: Briefe einer Freundschaft

Herausgegeben von Hans Holler. © 2004 Piper Verlag GmbH, München/Berlin

con (in o.a.) Alessio Boni Michela Cescon

musiche di Hans Werner Henze eseguite dal vivo da

Giacomo Palazzesi (chitarra)

scena e luci Gianni Carluccio

Produzione Teatro di Dioniso in collaborazione con

Fondazione Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano

 

 

 

 

 

 

LA BUONA EDUCAZIONE (2018)

Una donna deve prendersi cura di un giovane essere umano, ultimo erede della sua stirpe. Deve ospitarlo nella sua vita, nella sua casa, nella sua mente, deve educarlo, progettare il suo futuro, deve contribuire all’edificazione di un giovane Uomo.

‘UNDERGROUND’: Cuocolo/Bosetti al Napoli Teatro Festival

Debutta, in prima nazionale, il  13 giugno (repliche fino al 22 giugno), al Napoli Teatro Festival, Underground, ultimo spettacolo a firma Cuocolo/Bosetti.   Roberta Bosetti, nei sotterranei della metropolitana di Napoli, accoglie un piccolo gruppo di spettatori sull’ultimo vagone della metro e li accompagna attraverso le incertezze del presente e le intuizioni della memoria.
Produzione Teatro di Dioniso, IRAA Theatre.