ERODIÀS

DOMENICA 22 GENNAIO 2017
ASTI | SPAZIO KOR (EX TEATRO GIRAUDI) | ORE 21.00

di Giovanni Testori
regia Renzo Martinelli

Jokanaan!
Erodiàs, il più violento dei tre Lai, inizia così, con un urlo reiterato che si fa gioco di parole, musica che parte dal nome ebraico del Battista e che giunge a poco a poco a conficcarsi nella carne lombarda dilaniata.
È già agli inferi la regina, moglie, cognata e concubina che implora e dialoga con una testa mozzata.
È già sporco l’oro del suo trono, la sua è una corona fatta di vetrini, di cocci di bottiglia, di chincaglieria colorata.
Il suo è un corpo grottesco maschio/femmina che urla il desiderio, una presenza oscena che non si arrende al mutismo casto del Battista, alla sua sottrazione.

Giovanni Testori ha dedicato a Erodiade più di un testo. Noi scegliamo Erodiàs, l’Erodiade spodestata, posseduta, ossessiva, che balbetta. Noi partiamo dalla rabbia che smangia l’essere umano quando si trova davanti al limite, alla finitudine, quando il discorso s’incaglia e resta solo la potenza del grido.

In un’intervista ad Arbasino, Giovanni Testori dice: “Faccio sempre più fatica a pensare narrativamente. Il nucleo narrativo nasce in un suo modo, completamente diverso. Una vicenda, quando viene in mente come teatro, addio…o per fortuna. Una cosa però è certa: salta il tessuto narrativo; salta, dico, all’origine. Penso al romanzo; ma nei suoi confronti mi sento in crisi”.

Ecco. Mi accingo a fare teatro, come sempre, e a farlo con un testo non narrativo, ma pensato già, “addio… o per fortuna”, per un corpo e una voce, per un tempo vissuto, per uno sguardo che divora il presente dell’offerta sacrificale e la vive là, dove si spezza il pane che si fa corpo, dove si beve il vino che si fa sangue.
Penso a una donna, penso a un’attrice dalla grande passione fisica che dev’essere combattuta fino allo stremo.
Penso alla testa mozzata del Battista e pensando a quella testa lo immagino divorato, fatto a brani dalla regina così come le Menadi con Penteo.
Penso a queste parti di corpo smembrate, numerate, laddove il Battista negandosi nella sua totalità, nell’unicità dell’essere corpo d’amore, si condanna a essere per sempre oggetto.
Parti che diventano protesi da indossare o da usare come gioielli rari: una dentiera, una barba finta, un occhio di vetro.
Vetrinetta degli orrori, minorata, piccola e repellente rispetto ai miei ricordi giganti del Testori pittore con i suoi pugili, le sue violente orchidee, le sue teste ossessionanti.
Penso sì, alla parola che vince su tutto, che occupa gli spazi della rimozione.
Penso alla forza politica di un corpo.
Penso al teatro, ad abitarlo e poi in qualche modo forse alla narrazione.
Penso sì, ma finché non l’avrò fatto… “addio… o per fortuna”.

Renzo Martinelli

Finalmente Giovanni Testori.
Un incontro evocato più volte nel percorso artistico di questi anni, in cui Renzo Martinelli mi ha diretta in infinite prove.
Un incontro atteso per un tempo lunghissimo, imbandendo la tavola, così come si fa quando si prepara lo spazio per l’arrivo di un ospite importante: studio del dettaglio, purificazione, cura. Del cuore, apertura.
Attendere la lingua di Testori e il corpo a corpo con la sua anima di carne e sangue ha significato innanzitutto masticare le proprie radici linguistiche in tanti altri spettacoli fino a farne poltiglia. Stupefarsi ogni volta reinventando il Verbo.

Federica Fracassi

In questa pagina: ph. Lorenza Daverio – in homepage: ph. Laila Pozzo

  • di Giovanni Testori
  • con Federica Fracassi
  • regia Renzo Martinelli
  • produzione Teatro i
  • con il contributo di Regione Lombardia / Next