ROSVITA

TORNANDO A ROSVITA
Roghi di giovinette, stupri e torture, cedimenti, amori impossibili che non si arrestano neanche davanti alla necrofilia, padri autoritari e pii: miniature medievali che riaffiorano da un passato remoto e che si perpetuano sempre uguali (se solo le sappiamo leggere) nelle cronache quotidiane del pianeta.
La crudeltà ambigua e disorientante dei drammi di Rosvita mi parla ancora, a distanza di dieci secoli, a distanza di quasi vent’anni dal mio primo accostarmi alla sua opera: tutto, nella sua scrittura insieme devota e infuocata, vi accade all’improvviso, la tentazione e la resa e la conversione. Non c’è logica, non c’è buon senso, non c’è realismo, non c’è psicologia: tutto si compie nell’eccesso dell’interiorità, là dove affrontiamo le sfide decisive, là dove i nostri sentimenti si ergono smisurati e assoluti, non accettando sagge correzioni dal di fuori. Le figure che Rosvita tratteggia con la sua prosa rimata, svuotate della loro sostanza corporale, diventano emblemi dello spirito, marionette al vento. Urlano, pregano, si seppelliscono. Dicono di no, dicono di sì, e sempre accettano liete il loro abisso. “Là dove sarà il tuo cuore, là vi sarà anche il tuo tesoro.” La “debolezza” femminile ha la meglio sul “vigore” maschile, per usare la sintesi della canonichessa di Gandersheim, la prima scrittrice di teatro a noi nota dell’Occidente. Un conflitto tra autorità patriarcale e ribellione muliebre, agito scenicamente in un’epoca in cui spesso la donna veniva descritta come “sacco di escrementi”, “porta del Diavolo”.

A differenza dello spettacolo del ’91, dove il nodo centrale era la misura, il rapporto con un modello impossibile da percorrere se non in modo balbettante e rovinoso, ho pensato questo nuovo affondo come una lettura-concerto: al centro le parole di “tutte quelle che non hanno preso aria”, martirizzate, bruciate, disperse nel vento ai quattro angoli della terra. Al centro le voci di lupo e di corvo e di colomba di quel teatrino metafisico. Per questo ho amplificato la partitura del ‘91, restituendo alla loro integralità i drammi che all’epoca avevo frantumato (Conversione di Taide e Martirio di Agape, Irene e Chionia), riservandomi come prologo la “lettera ai dotti” e come epilogo la narrazione di Maria, stella del mare, intrecciando qua e là versi di Sant’Agostino, Baudelaire, Amalia Rosselli, come stelle cadenti. Al mio fianco, Cinzia Dezi, Michela Marangoni e Laura Redaelli, che intonano la “musica celeste”, il gregoriano, quattro fantocci che emergono dal buio. Non c’è scenografia, non c’è azione, tutto va “visto” attraverso la voce, il canto, i suoni, in uno spazio-luce che richiede di essere situato ovunque e di integrarsi ovunque, isola-edicola che mi piacerebbe vedere allestita in un’autostrada, in mezzo a un parcheggio, davanti a un ipermercato. Una lettura-concerto che insegue i suoi burattini, facendone sostanza di voce, dipingendo attraverso i mille toni del grottesco una fantasmagoria immobile e “santa”. (Ermanna Montanari, Ravenna, giugno 2008)

Martedì 13 marzo 2012
Teatro Alfieri di Asti ore 21.00

  • Lettura concerto
  • di Ermanna Montanari
  • con: Sara Gandolino, Michela Marangoni, Ermanna Montanari, Laura Redaelli
  • regia: Marco Martinelli
  • spazio-luce: Enrico Isola, Ermanna Montanari
  • assistente progettazione spazio-luce: Claire Pasquier
  • direzione tecnica: Enrico Isola
  • musiche originali e sound design: Davide Sacco
  • consulenza musicale per il canto gregoriano: Elena Sartori
  • realizzazione scene: Fabio Ceroni, Luca Fagioli, Danilo Maniscalco, Massimiliano Rassu
  • foto e collage: Claire Pasquier
  • cura grafica: Barbara Fusconi
  • promozione: Silvia Pagliano, Francesca Venturi
  • produzione: Teatro delle Albe – Ravenna Teatro
  • in collaborazione con Ravenna Festival e deSidera Bergamo Teatro Festival

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