Non c’è niente di più comico dell’infelicità.
Samuel Beckett, Finale di partita
L’umanità portata in luce in modo intenso e straziante, ma anche dolorosamente comico, dai Quattro atti profani di Antonio Tarantino è quella nascosta nelle pieghe oscure della città e delle coscienze: i dimenticati. L’autore dà voce a questi “fantocci di parole rilegate in pelle” facendoli esprimere in un’inaspettata e musicalissima lingua, che riesce a comunicare e a emozionare sfruttando un accidentato percorso linguistico.
È una lingua magmatica, ritorta, storpiata ed espressionista quella che Giovanni Testori riversa in Passio Laetitiae et Felicitatis. Come già nei testi teatrali che compongono la Trilogia degli Scarrozzanti (Ambleto, Macbetto ed Edipus), anche in questo romanzo, composto nel 1975, la lingua testoriana, un lombardo misto a volgare e a italiano secentesco, che accoglie nelle sue pieghe il suono dell’avanspettacolo e del melodramma, delle canzonette e dei canti liturgici, diventa lo strumento per raccontare l’indicibile.
”Ma una cosa è il pensiero, un’altra è l’azione e un’altra ancora è l’immagine dell’azione. La ruota del motivo non passa tra loro. Un’immagine ha fatto impallidire questo pallido uomo. Egli era all’altezza della sua azione, quando la commise: ma non ne sopportò l’immagine, quando era stata commessa. Così da quel momento si considerò sempre come l’autore di una sola azione”.
Friedrich Nietzsche, da Così parlò Zarathustra trad. M. Montanari
In Ecce Homo – scritto nell’autunno del 1888, durante quelle febbrili settimane che precedettero l’ “euforia di Torino” e il successivo, definitivo silenzio – Nietzsche si disseziona, riepiloga tutta la sua vita e le sue opere in un “monologo fatale”, come lo chiama Roberto Calasso. In questo lacerante percorso della memoria incontriamo le immagini che nell’ultimo periodo gli danzano nella mente, le sue visioni/ombre: Dioniso e il Crocifisso, la sorella Elisabeth, la Madre, il Padre, Isotta, Carmen, Arianna.