MOLLY BLOOM | Atto primo (2019)

Mrs. Marion Bloom, Molly, è per me il personaggio letterario più interessante del 900, l’anello che salda indissolubilmente l’archetipo arcaico di Penelope e la nevrosi della donna contemporanea.

Mrs. Marion Bloom, Molly, è per me il personaggio letterario più interessante del 900, l’anello che salda indissolubilmente l’archetipo arcaico di Penelope e la nevrosi della donna contemporanea. Molly non è un’eroina, non affronta avventure, non combatte né per amore né per ideali, non si rende eccezionale in nessun modo, ma incarna la vita interiore di ogni donna in un preciso istante della sua storia personale.
Il celebre flusso di coscienza non è che lo strumento perfetto per fotografare la realtà di ogni essere femminile in modo così spudorato da diventare a tratti osceno. La sua presenza si definisce di parola in parola, di sillaba in sillaba, di silenzio in silenzio nel solco di un’ironia spensierata e politicamente scorretta, liberatoria e catartica.
Molly è la voce novecentesca dell’antica madre del Mediterraneo, della forza vitale femminile che si impersona nella donna qualsiasi.
Scrive Gianni Celati nella sua prefazione all’Ulisse “Il punto focale della peregrinazione di Bloom è la vita qualsiasi, la vita senza niente di speciale, la vita come un sogno o come un lungo chiacchierare con se stessi. Ed è il moto moderno ininterrotto, col senso di parole che sfuggono appena udite. E’ ancora la vita qualsiasi che passa ogni secondo, coi suoni moderni, le canzoni, le arie d’opera e la pubblicità dei prodotti (…) facendo emergere come possibile il senso del canto continuo, il cantare qualsiasi, che per tradizione è la cosa spicciola per far passare il tempo della vita qualsiasi”
Allora Molly assume ai miei occhi le fattezze della protagonista di un documentario d’autore, non posso immaginarla se non calata nel mio presente e dunque non più figura letteraria di primo novecento, ma donna qualunque nel 2018 e in fondo il pretesto per fare i conti con la storia del femminismo e con la presunta parità dei sessi. La sua irresistibile ironia farà il resto.

Elena Serra

Molly Bloom compare al crepuscolo della giornata-odissea di suo marito, il 16 giugno del 1904. È il momento che anticipa il sonno, quello dello slancio liberatorio che disarticola la frase affrancandola dalla scansione ritmica della punteggiatura. Il corrimano del pensiero non serve più: quelle virgole coercitive e autoritarie che comandano la pausa, che subordinano, che enfatizzano. Al diavolo l’ascesa morbida delle guide sui gradini del racconto, degli scaloni ampi e prudenti che illuminano di senso il passaggio da una rampa all’altra. Penelope ha sciolto la trama dall’ordito e a me restano pagine e pagine delle stravaganze dolorose di una donna feconda e strabordante. Che ci faccio con te? Di chi sei figlia, madre o moglie? Possibile che non ci sia nessuno a cui chiedere il permesso di penetrare nella camera dove hai già abbassato la luce, nel letto che si scalda del tuo corpo e lo consola dalle correnti che coprono di salmastro e umido i mattoni rossi di Dublino?
Insomma, io voglio sapere chi è il tuo autore, il padrone, come si chiama chi ti possiede, chi ha azionato il meccanismo per poi lasciarti suonare fino al silenzio. Perché non è mai successo prima di trovare un personaggio che parlasse la sua propria lingua, che comunicasse col lettore senza mediazione. È’ solo un esempio ma ne potrei fare mille: se leggo Guerra e pace è con Tolstoj che creo un rapporto empatico, è lui che mi consiglia come partecipare alla sofferenza della principessina Marja o della radiosa giovinezza di Nataša.
E invece questo Mr Joyce, proprio lo stesso che molti dicono essere stato un sessuomane e un folle, libera uno spirito femminile che per qualche stramberia di cui i fantasmi sono capaci mi attraversa e mi ammala. E sempre il signor Joyce mi lascia in chiusura del suo librone la chiave di ingresso nella coscienza disarmata di Molly.
A intervalli sempre più frequenti, come in un respiro che si fa affannoso, Molly dice “sì”. E quei sì sono la conferma che ella esiste, che scorre nel suo corpo una linfa più fluida e vitale di un grumo di parole, e che sì, posso raccontarla anch’io la sua storia, sì, con la semplice impudicizia della mia voce e del mio corpo.

Irene Ivaldi

    • di James Joyce
    • traduzione di Enrico Terrinoni
    • con Irene Ivaldi
    • con la partecipazione di Chiara Osella
    • spazio scenico a cura di Jacopo Valsania
    • regia di Elena Serra
    • produzione Teatro di Dioniso