Senso (2011)

Una donna esamina il suo volto allo specchio: con morbosa attenzione controlla che i segni dell’inquietudine che la tormenta non ledano la sua immagine. Così inizia “Senso”, la più fortunata delle novelle di Camillo Boito, uscita nel 1883 a chiudere la raccolta “Storielle vane”.
E “storiella vana” potrebbe benissimo essere il sottotitolo del monologo di Boito, che dà voce a una creatura che si differenzia in tutto e per tutto dalle eroine cui narrativa e teatro ci hanno abituati.

La contessa Livia Serpieri ha trentanove anni, si è ritirata a Trento col marito e rievoca una vicenda amorosa vissuta sedici anni prima: la sua passione per il tenente austriaco Remigio Ruz. Si contrappongono così la Venezia dei ricordi, sfondo della passione col tenente e di un’immedesimazione fisica della protagonista con l’acqua della laguna (“gettai in acqua un anello … mi parve di avere sposato il mare”, dice Livia) e l’esistenza trentina del presente,che vede Livia alla ricerca di sempre nuovi corteggiatori di estrazione borghese. Livia e Remigio si erano conosciuti in un bagno galleggiante di fronte alla punta della Dogana. La superficialità e la vuotezza del mondo della contessa ben si legano al narcisismo e all’avidità dell’amante, che rifiuta di battersi a duello con i patrioti veneziani e le estorce soldi per non affrontare il campo di battaglia, in occasione della guerra austroprussiana. Remigio, infatti, raggiunta una notte la contessa a Trento, le chiede una somma ingentissima per corrompere i medici distretto militare e ottenere l’esonero. Livia gli dona anche una parure di brillanti regalatale dal marito e lo congeda senza potergli dare un bacio d’addio. Dopo la sconfitta degli austriaci, però, la giovane decide di partire per Verona e riabbracciare l’amante, sfidando coraggiosamente ogni possibile pericolo. Ma, volendo sorprendere, sarà lei stessa a essere sorpresa. Giunta in segreto nell’appartamento in cui è lei a mantenere l’ufficiale, lo trova nelle braccia di un’altra donna. Sarà il tradimento, e l’offesa che lo accompagna, a spingere Livia Serpieri alla più atroce vendetta. Intorno alla capacità di sedurre e di piacere la contessa ha costruito tutta la propria esistenza, sacrificando a un’idea di bellezza totalmente effimera qualsiasi forma di pudore. Si discosta così dalla figura totalmente rivisitata da Luchino Visconti, che per Alida Valli creò un personaggio “politicamente corretto”, diremmo oggi. Eppure la dissennata presunzione dell’originaria contessa, proprio grazie all’esibizione senza reticenze dei propri desideri, risulta avvincente e a tratti umoristicamente grottesca, e sembra anticipare certe figure femminili del cinema di Ernst Lubitsch e la Lola Montes di Max Ophüls.

CAMILLO BOITO (1836-1914), architetto, critico d’arte, fratello maggiore del musicista e librettista Arrigo, sarà per 48 anni professore di architettura presso l’Accademia di Brera di Milano. Patriota mazziniano e garibaldino, nel 1848, a soli 12 anni, combatte accanto al padre Silvestro (un pittore dedito al gioco e all’alcool, che morirà in circostanze misteriose) nella difesa di Venezia. Giovanissimo, inizierà l’insegnamento, potendo così mantenere il fratello negli studi musicali. Sia Camillo che Arrigo frequentano un salotto in cui fanno la conoscenza di Giuseppe Verdi, Alessandro Manzoni e Aleardo Aleardi, nonché di quegli artisti con i quali costituiranno le fondamenta del movimento artistico-letterario della Scapigliatura milanese.

  • di Camillo Boito
  • adattamento teatrale di Valter Malosti
  • con Irene Ivaldi
  • regia Valter Malosti
  • costumi Federica Genovesi
  • luci Francesco Dell’Elba
  • assistente alla regia Elena Serra

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