Bedbound (Costretti a letto) (2001)

Un cestino per la merenda con dentro due “umani” e la loro casa.

All’origine di ogni spettacolo c’è sempre una idea di spazio, che diventa poi spazio interiore da abitare.
Questa volta in Bedbound (costretti a letto) lo spazio era quasi obbligato, ma ho voluto togliere realismo e renderlo più astratto, quasi un luogo/non luogo beckettiano. Con la forza di luogo reale e la possibilità di uno scarto.
Ovviamente il lavoro è tutto centrato sugli attori, che hanno condiviso questa ipotesi doppia: tutto dentro/tutto fuori. I racconti che propone il testo vanno vissuti qui ed ora nell’incontro con gli spettatori che diventano complici e guardoni di due mondi interiori in deflagrazione.

Un padre e una figlia dividono da una settimana un piccolo letto da bambini dove lei ha trascorso gli ultimi dieci anni, persi nel centro di un enorme labirinto che sembrerebbe senza vie d’uscita: “Come un cestino per la merenda con dentro due umani e la loro casa”. Assistiamo a due flussi contrapposti di parole: parole che ci invitano ad uno spettacolo efferato e amaro, che ha una sua natura segreta. Lui parla frenetico del suo straordinario passato come commerciante di mobili e rappresenta i ricordi del passato da solo o aiutato da lei; lei, poliomielitica, un mondo interiore che esplode, un cumulo di dolore, parla non meno sconvolta, per riempire il silenzio terribile dentro la sua testa. Padre e figlia non possono smettere di parlare. Il linguaggio è una risorsa vitale. È come il respiro che li tiene in vita.
Due figure insopportabilmente vive colte nel momento in cui il diaframma tra disagio psicologico e disagio fisiologico è diventato fragilissimo.
Con un desiderio istintivo, animalesco di vita, di energia, di potenza e lo scacco di una perenne continuamente rinnovata caduta.
Attraverso il loro scivolare nella verità ci trascinano nel gorgo della loro crisi. L’ascolto dei due flussi presuppone un muro di suono che inonda e colpisce fisicamente gli spettatori che devono avere un impatto fisico con queste parole.
Il mondo di Walsh non si esaurisce nel suo spettacolo di brutalità e perversione. Anzi il cumulo di piscio, merda, vomito e sangue presente nel testo non distolgono dalla sua scrittura di enigmatica bellezza, dal suo particolare  magnetismo, dalla sua labirintica indefinibilità che entra nella nostra coscienza.
Siamo in presenza di una realtà palpitante; di un racconto crudo sulla capacità di soffrire ad occhi aperti.
In assenza di un giudizio.
È un testo pieno di acre umorismo e di dolore e di grande emozione in cui alla fine, come ha detto l’autore, “l’amore sommergerà ogni cosa”.

Valter Malosti

Premio UBU 2001 “come nuova attrice” e Premio ELEONORA DUSE 2001 come “attrice emergente” a Michela Cescon


  • di Enda Walsh
  • con Andrea Giordana e Michela Cescon
  • regia, spazio scenico e traduzione Valter Malosti
  • collaborazione artistica Tommaso M. Rotella
  • costruzione scene Gennaro Cerlino
  • costumi Helga H. Williams
  • spettacolo realizzato con il contributo di
    Regione Piemonte e Ministero per i beni e le attività culturali
  • produzione Teatro di Dioniso / Teatro Giacosa di Ivrea
  • ph. Tommaso Le Pera