LA DONNA LEOPARDO

Ha debuttato, in prima nazionale il 29 ottobre 2019  (repliche fino al 3 novembre) al Piccolo Teatro Grassi di Milano, La donna leopardo, ultimo romanzo di Alberto Moravia nell’adattamento drammaturgico curato da Lorenzo Pavolini e Michela Cescon, anche regista.
In scena Valentina Banci, Olivia Magnani, Daniele Natali, Paolo Sassanelli.
Produzione Teatro di Dioniso e Teatro del Veneto con il sostegno di  Intesa Sanpaolo.

 

È da alcuni anni che penso di portare in teatro un testo di Moravia, non uno dei suoi testi teatrali bensì un romanzo. Ho sempre pensato fossero perfetti per il palcoscenico, e che ci fosse al loro interno quasi una matrice teatrale.
Non ho avuto la fortuna di conoscere Alberto Moravia ma, da lettrice, potrei dire che tra i suoi scritti si intuisce un’attenzione quasi registica ad uno spazio scenico, alla luce, ai luoghi come dei dipinti, ai personaggi dai dialoghi perfetti, con una scrittura adatta ad essere portata ad alta voce.
Mi hanno sempre incuriosito i suoi racconti, i suoi romanzi brevi, ma quando lessi “La donna leopardo” capii che da lì volevo partire.
Quattro personaggi: un giornalista, il suo editore e le rispettive mogli, che si trovano ad affrontare un viaggio in Africa, nel Gabon. Dalle atmosfere borghesi, in una Roma conosciuta e notturna, dove le relazioni sono più nascoste e trattenute, all’Africa, che come dice Moravia è “il più nobile monumento che la natura abbia mai eretto a se stessa”, tutto diventa vero, senza struttura, esplode, l’uomo tende a dominare, la donna a sottrarsi, il possesso definitivo è impossibile e l’amore, come la vita, è uno stato d’allarme continuo.
Partire dalla fine quindi, da queste ultime pagine con cui c’ha salutati. La mattina in cui è mancato, il 26 settembre 1990, è stata trovata, l’ultima stesura del romanzo in versione manoscritta. Il giorno dopo sarebbe cominciato il lavoro con la dattilografa.  

Michela Cescon

 

Con il testo che lascia sulla sua scrivania in una cartellina blu la mattina della sua morte, Alberto Moravia chiude il cerchio aperto sessanta anni prima con gli Indifferenti.
Se nel 1929 la questione che si poneva era quella di “fondere la tecnica del teatro con quella del romanzo” vediamo a quale grado essenziale fosse giunto nel risolverla alla fine del secolo scorso, muovendo i suoi personaggi dalla scena del salotto romano alle rive estreme dell’Africa, dove il gioco di specchi dell’amore coniugale si fa definitivo e accecante come la luce dei tropici.
Due coppie ingaggiano una danza elegante e brutale, si sfidano allo scambio e alla disgregazione, alla guerriglia mondana e al compromesso di poteri e ruoli – tra moglie, marito e amante, direttore imprenditore e giornalista, colonizzatori e colonizzati – spingendosi nei territori d’ombra inesplorata, fino a restare nudi di fronte a se stessi.
Ma sulla scena che non conosce la Storia, dove potremmo vedere improvvisamente un mammuth passeggiare sulla spiaggia, sarà la donna autonoma come un felino a segnare il confine oltre il quale amare significa non capire.

Lorenzo Pavolini

 

Quando si lavora su autori così importanti e si decide di farne una trasposizione scenica ci si accorge che pur nella lucidità con cui è costruito il romanzo, il mondo dell’autore è ricco di stratificazioni, di esperienze, di contaminazioni. Trasformare tutto ciò in una visione porta a scegliere tra due vie: semplificare, tenendo la via del dramma borghese che lavora sugli attori, sui dialoghi e sui cambi scena classici, oppure aprire e far entrare la «vita» in quello che si vuole andare a dire. Scegliere quindi tra una quarta parete che rassicura – dove lo spettatore trova una costruzione conosciuta – oppure abbattere questa quarta parete e invitare lo spettatore a chiedersi continuamente il perché di ciò che sta guardando. È la seconda la via che si è deciso di intraprendere.

Lo spazio che immaginiamo è grande e libero, senza confini e strutture teatrali che lo delimitano. Non ci sono mura, non ci sono soffitti. In scena, i corpi degli attori, impegnati in una performance fisica, avranno a che fare con strutture esili e modulari che aiuteranno a ricreare un luogo.
Non abbiamo bisogno di oggetti, non si sfiorerà mai il teatro borghese perché quello che vedremo, accade veramente: gli unici strumenti di rappresentazione di cui abbiamo bisogno sono il corpo e la voce di un attore che è una persona presente agli accadimenti della sua vita con autenticità.
Fondali illuminati, luci, ombre, fotografie, video e una forte drammaturgia sonora saranno preziosi alleati.

II team creativo verrà coordinato attraverso un approccio «orizzontale» di lavoro, alla pari, in cui ogni professionista delle diverse discipline svilupperà la propria proposta di interpretazione e resa estetica sperimentando un nuovo modello di collaborazione e co-progettazione fra gli artisti coinvolti, creando una sorta di comunità artistica trasversale. Per far ciò si lavorerà con professionisti che provengono da campi artistici diversi, il cui contributo creativo favorirà un meccanismo di co-ideazione.

Il processo lavorativo sarà quello di farsi sorprendere da Moravia contaminandolo con tecnologie nuove, con sguardi incrociati, dando agli attori uno spazio di lavoro libero e contemporaneo dove muoversi, ritrovarsi, accompagnato da tutti i mezzi tecnici ed espressivi che ci saranno possibili. Sarà un lavoro non diviso per settori e maestranze. Tutti partiranno insieme, e per tutti l’inizio sarà uno spazio vuoto, un testo e quattro attori.

Solitamente in teatro ognuno prepara il suo lavoro separatamente, il progetto delle scene, il progetto luci, la costruzione del personaggio. Qui non sarà così, le idee nasceranno insieme, nello stesso spazio e nello stesso arco di tempo. Nessuno, specialmente gli attori, si troverà addosso luoghi, vestiti, tecnologie senza capirne il senso e il percorso.
Anche l’uso di tecnologie, luci, video, musica diventa in questo modo naturale, organico e non manieristico. Il ruolo della regia – a differenza di altre produzioni teatrali più tradizionali, che si basano su un assetto più verticistico – sarà soprattutto quello di favorire il dialogo fra le parti e creare un’armonia creativa che permetta di valorizzare al massimo l’apporto di tutti per dare vita al testo di Moravia, in scena utilizzando tutto il potenziale dei diversi linguaggi artistici.

 

  • LA DONNA LEOPARDO
  • dal romanzo di Alberto Moravia
  • adattamento drammaturgico Michela Cescon e Lorenzo Pavolini
  • con (in o.a.) Valentina Banci, Olivia Magnani, Daniele Natali, Paolo Sassanelli
  • impianto scenico, video e luci Diego Labonia, Simone Palma, Claudio Petrucci
  • stylist Grazia Materia
  • musiche Andrea Farri
  • assistente alla regia Elvira Berarducci
  • progetto fotografico Fabio Lovino
  • regia Michela Cescon
  • produzione esecutiva Teatro di Dioniso
  • direttore di produzione per il Teatro di Dioniso Nicoletta Scrivo, Anna Russo
  • direttore amministrativo per il Teatro di Dioniso Paola Falorni
  • produzione Teatro di Dioniso e Teatro Stabile del Veneto
  • con il sostegno di Intesa Sanpaolo
  • in collaborazione con Fondo Alberto Moravia, Bompiani e Zachar Produzioni srl