Storia di Doro (1998)

Storia di Doro è un testo scritto da Donatella Musso nel 1994. Quasi kantoriano nel suo incedere, ricco di visioni e di una poesia leggera, rievoca un mondo di fantasmi appena lì dietro l’angolo, usando una lingua tesa tra un italiano alto che esplode poi in frammenti di piemontese, latino, e lingue inventate. È una storia apparentemente realista, piena di riferimenti ad un mondo contadino appena scomparso o in via di estinzione, ma che usa il filtro di una memoria lancinante e a volte beffarda per raccontare. È un testo che mi permetterà di lavorare nella mia direzione preferita: quattro attori disposti a prove estreme, ma con grande leggerezza.
Valter Malosti

Doro, un giovane folle contadino; Don Rolando, parroco e padre nascosto di Doro, Angiolina, sorella di Doro, e Iris una amica di Doro ai tempi della scuola elementare da cui il racconto prende avvio: questi i quattro protagonisti della pièce. Il tempo è il 1963, l’anno dell’uccisione di Kennedy. Il luogo: la campagna piemontese.

A metà strada tra visionarietà e follia, Storia di Doro si sviluppa per stazioni monologanti, seguendo un percorso che, nell’apparente distrazione continua dei materiali drammatici, assume la rigorosa coerenza di una storia vissuta in un tempo immemoriale, che è quello proprio dei miti. Il mito è rurale (stentiamo a chiamarlo agreste, considerata la forza violenta della storia): una campagna quasi mai nominata ma continuamente presente è lo sfondo e più che lo sfondo di una graduale distruzione, segnata da sempre. C’è un elemento che emoziona (o frastorna?) in Storia di Doro: la predestinazione all’annientamento che il protagonista porta con sè‚ e dentro di sè. I motivi della sua vita, poveri, pochi, meschini, ci vengono offerti, un pò alla volta, attraverso le farneticazioni (ma non l’incoerenza) dei personaggi. Noi seguiamo quasi atterriti la facilità con la quale una creatura di elezione non sopravvive (non possa sopravvivere) al suo destino. Doro nasce con un’anima che non somiglia a quella di nessuno; chi gliela trasmette, insieme con la vita, è un personaggio consacrato: è la forte invenzione di questo dramma. La follia di Doro, che è in realtà una conoscenza di segreti inconfessabili che riguardano la natura, di realtà percepite da lui solo, e faticosamente allineate in un ordine che vorrebbe imitare quello degli altri ma sfugge continuamente a sè stesso, è una forza di profezia, una capacità di immersione nel vero, che ha qualcosa di orfico. Non per nulla tutti i personaggi si esprimono per monologhi e quello del prete in una sorta di polilinguismo che è il tentativo palese di definire in tanti modi possibili la realtà, di tradurla in un linguaggio ermetico e iniziatico ad un tempo. Storia di Doro è la catturante vicenda di una continua attesa di epifanie: più per lo spettatore, per altro, che i personaggi. I quali, sempre, si esprimono come se tutto fosse loro chiarissimo, a cominciare da lui, da Doro, nella mente del quale la verità si manifesta nei termini degli oracoli sibillini. Non c’è contraddizione, in questo. L’autrice ha accettato -et pour cause! – che la follia sia a volte (o sempre?) una forma di rapporto privilegiato con un’ alterità che la normalità drasticamente cancella con la prepotenza del forte, che si impone solo perchè‚ fa parte di una quantità più grande. Ancora, si ponga attenzione al fitto, duro lavoro sul linguaggio di questa Storia di Doro ed essa sarà chiarissima a tutti.
Piero Ferrero

  • di Donatella Musso
  • regia Valter Malosti
  • con Luigi Diberti > Don Rolando
  • Oreste Valente > Doro
  • Michela Cescon > Angiolina
  • Barbara Altissimo > Iris
  • regista collaboratore per i movimenti Tommaso M. Rotella
  • progetto scenico e costumi Paolo Calafiore
  • luci Francesco Comazzi
  • suoni e voci Lucia Minetti
  • assistente alla regia Barbara Altissimo
  • produzione Teatro di Dioniso