Signorina Giulia (2011)

«Con la presente, mi permetto di proporvi la prima tragedia naturalistica della letteratura drammatica svedese, e vi prego di non respingerla alla leggera, se non volete pentirvene più tardi, perché, come dicono i tedeschi: farà epoca»: così August Strindberg scrive nell’agosto 1888 all’editore Bonnier, che respingerà l’opera perché troppo scandalosa. Signorina Giulia è la storia di un incontro estremo e distruttivo, lungo tutta una notte, tra la figlia di un conte (la Giulia del titolo) e Giovanni, il servitore-tuttofare di suo padre.


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La cuoca Cristina, sorta di ambiguo deus ex-machina e promessa sposa dell’uomo, osserva dall’esterno lo svolgersi dell’azione, che si sviluppa nei confini del suo regno: la cucina. Fa da sfondo all’azione una festa ubriaca di danze e vino che si protrae per tutta la prima metà del testo, la Midsommarnatten, la nordica notte magica di San Giovanni. L’occasione rituale di scatenamenti orgiastici spinge la padrona e il servo a sperimentare, attraverso una lotta senza esclusione di colpi, che chiama in causa la lotta di classe e quella tra genere maschile e femminile, un perturbante sconvolgimento dei ruoli. Una lotta incessante per la sopravvivenza, una sorta di selezione “naturale” che qui assume connotati non esclusivamente fisici ma mentali: la “battaglia dei cervelli” che tanto ossessionava l’autore.

«A mio avviso – scrive Valter Malosti – il naturalismo di Strindberg è più simile a quello di Darwin, citato nella famosa prefazione dell’autore a Signorina Giulia, che a quello di Zola. Giulia nella tragica parte finale diverrà una sorta di animale sacrificale che espierà col suo sangue, seguendo anche un’ambigua traccia cristologica. Per questo lavoro ho pensato ad un luogo abbandonato e alle tracce di un tempo passato, un convito di fantasmi che fa festa nella testa di Giulia, come se potessimo vedere dentro di lei, nascosto, il regno di ciò che è più intimo. Una risata nera, sorda e continua, sottotraccia, pervade tutto il testo. È un mondo infero, quello che vediamo rappresentato in Signorina Giulia di Strindberg. Si scende giù per andare nella cucina, regno sprofondato della servitù dove gli alberi si intravedono appena e un raggio di luce del mattino è un’apparizione sacra: l’ora del sacrificio. Giulia ha un sogno ricorrente, sogna di voler cadere e sprofondare sempre più giù, sottoterra. Questa cucina, dove si respirano fumi infernali, è una sorta di anticamera dell’inferno. Ma Giulia diviene per Strindberg anche una di quelle attrici/isteriche di un esperimento di ipnosi al cui “spettacolo” aveva assistito a Parigi presso l’ospedale della Salpêtrière, per opera di Charcot: con una singolare seduta di ipnosi, cui l’autore invita a partecipare tutta la comunità degli spettatori, si chiude tragicamente la parabola della protagonista. Per mettere in scena Signorina Giulia occorre una lettura intima e una comprensione simile a quella di un direttore d’orchestra davanti ad una partitura (come Bergman si riferiva a questo testo), che ci rivela pieghe di un’umanità che riconosciamo nella sua carne viva e che ce li fa chiamare fratelli e sorelle. Strindberg marca questo lavoro con una punteggiatura teatrale che non rispetta sintassi e grammatica ma vuole farsi respiro e intenzione per gli attori, un ritmo musicale che governa la trama emotiva del testo. Ne emerge perciò una forma di progressione espressiva basata sull’associazione, piuttosto che strettamente testuale o sequenziale».

Nella parte di Giulia l’attrice Valeria Solarino, nata artisticamente a Torino nella Scuola del Teatro Stabile, e che si è affermata come interprete cinematografica di culto. Signorina Giulia è il suo ritorno al teatro. Valter Malosti affronta Strindberg dopo una stagione di successi e un recente Premio Ubu per la regia dello spettacolo Quattro atti profani di Antonio Tarantino nonché il Premio dell’Associazione Nazionale Critici di Teatro per la regia ancora dei Quattro Atti Profani e Shakespeare / Venere e Adone.

di August Strindberg

  • con: Valeria Solarino (Signorina Giulia)
  • Valter Malosti (Giovanni)
  • Federica Fracassi (Cristina)
  • regia Valter Malosti
  • scene Margherita Palli
  • suono G.U.P. Alcaro
  • luci Francesco Dell’Elba
  • costumi Federica Genovesi
  • training fisico e cura del movimento Alessio Maria Romano
  • assistente alla regia Elena Serra
  • assistente alle scene Alice De Bortoli
  • per la versione italiana adattamento Valter Malosti
  • consulenza linguistica Maria Strachini Truedsson
  • consulenza scientifica Franco Perrelli
  • consulenza drammaturgia Gian Mario Villalta
  • direttore degli allestimenti scenici Claudio Cantele
  • responsabile ufficio allestimenti Gianni Murru
  • responsabile reparto direzione di scena Marco Albertano
  • responsabile reparto macchinisti Vincenzo Cutrupi
  • responsabile reparto elettricisti-fonici Franco Gaydou
  • responsabile del laboratorio di costruzione Roberto Leanti
  • responsabile settore produzione e programmazione Barbara Ferrato
  • ufficio produzione Salvo Caldarella
  • scene costruite presso il Laboratorio del Teatro Stabile di Torino
  • capomacchinista Adriano Maraffino
  • capoelettricista Francesco Dell’Elba
  • fonico Claudio Tortorici
  • caposarta Monica Di Pasqua
  • foto di scena Tommaso Le Pera
  • si ringraziano Giovanni De Luna, Piergiorgio Odifreddi, Marco Dotti, Federica Mazzocchi,
    Centro Studi del Teatro Stabile di Torino
    assistente volontaria alla regia Chiara Lucchino
  • coproduzione Fondazione del Teatro Stabile di Torino / Teatro di Dioniso

 

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