La trasfigurazione di Benno il ciccione (1991)

“Io sono Benno e voglio mangiare fino a crepare”

Benno è un giovane enorme, tanto vulnerabile e innocente dentro, quanto sgraziato e repellente fuori.
Quasi proiettandoli dall’interno dell’io più segreto e custodito, Benno vive, rivive, rappresenta sogni, ricordi e visioni appartenenti ad un passato-presente di bambino e adulto disorientato e respinto.
Intorno a lui, in un tripudio onirico di disturbante visionarietà, ruota un universo di padri violenti e insensibili, madri frustrate, nonni laidi, minorenni esperte, nello squallore metropolitano di parchi, camere e cucine.
I personaggi della pièce, nelle intenzioni dell’autore da affidare a diversi interpreti, vengono assorbiti da Benno che diviene padre, madre, nonno in un gorgo vertiginoso simile ad un gioco grottesco di bambini o ad un cartoon.
Benno parte dall’infanzia per divorare i ricordi, inglobarli come fossero realmente cibo, per arrivare al banchetto finale che progetta di fare di sé: da divoratore a cibo egli stesso.
Solo una ragazzina che Benno vede giocare, viziosa e tragica, con il nonno, resta fuori dal gorgo familiare e lo aiuta a ricordare.
Questo gioco comune, impegnando gli attori ad una prova estrema, diviene rievocazione di due infanzie mostruose ed esagerate che abitano un paradossale inferno circolare, luna-park, circo, testimone della trasfigurazione di Benno.

“Io sono Benno e voglio mangiarmi fino a crepare”

Il mondo di Albert Innaurato, italo-americano quarantatreenne di South Philadelphia, è segnato dal quotidiano della comunità di cui fa parte ma il realismo delle descrizioni, degli ambienti, dei personaggi obbedisce a intenti visionari, notturni, surrealisti, di stampo gotico-grottesco.
Un mondo eccessive debordante, unto e sudato, colto fra incubo e realtà, ad un passo dal repellente, dall’osceno, dal blasfemo ma esplorato sempre con affettuosa partecipazione e con toni che sanno passare dal tragico al comico, dal drammatico al farsesco.

Mario Maffi, in “Nuovo Teatro d’America”

PREMIO UBU 1992  “per l’interpretazione particolarmente singolare di Antonino Iuorio”

  • di Albert Innaurato
  • traduzione di Rossella Bernascone
  • rielaborazione drammaturgica di Valter Malosti
  • regia di Valter Malosti
  • con Antonino Iuorio, Elena Bibolotti
  • scenografie Lucio Diana
  • collaborazione alla regia Tommaso Massimo Rotella
  • costumi di Metella Raboni
  • tecnico di palco Fiore Beltrame
  • produzione Consorzio Settimo Voltaire, Teatro di Dioniso