Adramélech (1993)

“Va, trancia, oscilla, parla, attraversa la bocca, lanciaci qualche parola fieramente lappata, un buon fischio che ci scuota, e dal tuo scuotere vai a slinguare a forare l’aria, rispondi al fischio, canto satanico, vibra”.

adramelech-01-foto-de-tullio-brandani
adramelech-02-foto-de-tullio-brandani
adramelech-03-foto-de-tullio-brandani
adramelech-04-foto-rapalino

Questo è l’invito che Adramélech/Dio/demonio, lancia, si lancia. Adramélech sorta di angelo decaduto, scaraventato sulla terra o in un inferno che le somiglia è un buco oscuro riempito di parole che esplode, dice di sé, rappresenta l’umanità dei parlanti. Il suo nome viene storpiato di continuo dagli interlocutori che di volta in volta lo abitano come presenze demoniache, a significare lo sradicamento da se stesso, proiezioni dello stesso Adramélech, predicatore/profeta del XXI secolo, è in continua rivolta, diseredato universale ridà i nomi alle cose creandosi una cosmogonia allucinata e arrivando a desiderare l’omicidio come esempio e presa di coscienza, come un urlo che spezzi la sua solitudine. Omicidio tragicomico portato in scena da un altro fantasma interiore di Adramélech: Illico, blasfemo cialtrone mistificatore. E poi l’esplosione della memoria che lo porterà a percorrere tutta la propria vita come in un vortice dal concepimento, alla morte, all’inferno, al caos; seguita da una parodia della storia dell’umanità, delirio storico in cui si affaccia un campionario vastissimo di tipi umani e che si conclude in una comica ‘passione’ in cui Adramélech diviene animale tra animali, con il cuore gonfio di una nostalgia ancestrale tragica e ridicola insieme.
Truppe d’elefanti, vecchi leoni di guerre! Ruote, buffoni, uccelli vocianti, amorose bestie dei boschi! Pesci oscuri dei mari profondi, e voi, folli trombette dei boschi! Bestie di pane, bassi uccelli, abitanti ed uccelli bassi! Marciatori, trottatori, ciclisti e abitanti del fondo dei boschi! Creature celesti e terrestri, accorrete, correte, correte, correte, correte, correte, correte!…

Valère Novarina
Valère Novarina, cinquantenne, è nato in Svizzera ma vive e lavora a Parigi e in Savoia. La sua famiglia è di origini piemontesi. Novarina è considerato uno dei massimi drammaturghi di lingua francese, per lo stile personalissimo della sua scrittura, sorta di alchimia geniale di tutta una tradizione visionaria e caotica che parte dai chierici vaganti francesi del ‘500, passa per Rabelais, i Maccheronici, Lautrèamont e si condensa mirabilmente in una lingua inventata che diviene dramma di parole, “scritto con le orecchie per attori pneumatici” come dice lo stesso autore in un lungo scritto teorico che è il manifesto del suo teatro: ‘lettera agli attori” . Teatro in cui è centrale il lavoro dell’attore-animale che si consuma e danza tutto il suo testo fino allo sfinimento.
Adramélech, in particolare, è un testo racchiuso in un’unica colata di invenzioni e ispirazioni linguistiche, ha una scrittura violenta e fortemente lirica in cui si insinua il grottesco, dove è evidente la vicinanza ad Artaud, ai canti di Maldoror di Lautrèamont, per quel piglio di ostilità e inestinguibile rancore nutrito contro il mondo e i viventi. Dramma delle origini in cui si mescolano, lottando, la lingua della Bibbia e quella di Céline.
Milano, marzo 1993

  • di Valère Novarina
  • traduzione e drammaturgia Valter Malosti e Walter Valeri
  • consulenza letteraria Adriana Pilia
  • con Valter Malosti
  • collaborazione artistica Giorgio Barberio Corsetti
  • collaborazione per i movimenti Tommaso Massimo Rotella
  • assistente all’allestimento Antonino Iuorio
  • costumi Metella Raboni
  • produzione Teatro di Dioniso, C.R.S.T. Pontedera, Compagnia Teatrale di Giorgio Barberio Corsetti
  • ph. De Tullio/Brandani e Rapalino