LA SCUOLA DELLE MOGLI nella nuova stagione del TST

Debutterà nell’ambito della stagione 2009-2010 del Teatro Stabile di Torino il nuovo progetto di produzione del Teatro di Dioniso: La scuola delle mogli di Molière.

 

Note di regia

Incontro per la prima volta Molière e lo faccio con un testo che ha ricevuto un’attenzione distratta in Italia, dove la tragedia e il nero, annidati nella struttura da geniale farsa, complicano probabilmente i piani di chi deve metterlo in scena. Del resto in Italia la frequentazione sulle scene di questo grande autore è cosa recente, solo dagli anni Sessanta si è iniziato con continuità ad affrontarlo, ma L’Ecole des femmes non è considerato tra i capolavori. A torto perché, come dice Cesare Garboli: «in tutta la storia del teatro moderno non esiste documento di più lucida ed oscura provocazione [ … ] come in una cellula dal grande sviluppo futuro, si celano nella Scuola delle mogli i germi del tema molieriano che la vita è malattia».
Colgo nella pièce un carattere visionario, il delirio in cui sprofonda il protagonista al termine della commedia, si trasforma in una vera e propria anatomia della rovina di cui è Arnolfo stesso l’artefice, come l’Alceste del Misantropo.
Una volta stabilito il fatto che La scuola delle mogli non è una semplice farsa dico anche che la farsa naturalmente deve conservarsi, perchè se non si fa ridere con questo testo, si fallisce, e in questo contesto ripenso alla grande lezione delle farse alte e allucinate di Leo de Berardinis e del suo alter ego: il Leòn de Berardin di Scaramouche.
E non si tratta di un caso se il costume nero usato da Molière per Arnolfo fu lo stesso di Scaramuccia, personaggio creato dall’attore napoletano Tiberio Fiorilli, maestro di Molière, famoso in Italia e nella Francia del Seicento sotto il nome della sua maschera. Costume che a Molière, per bocca di un suo personaggio, suggeriva bui cieli notturni senza stelle. Nero come la bile di Alceste / Misantropo. Nero come la malinconia di Molière. Nero come l’umorismo tragico che pervade tutta l’opera. Nero come le smorfie tragicamente comiche di Scaramuccia / Molière.

Immagino una compagine molto giovane, occasione per creare un progetto di compagnia, che si formi attraverso un percorso di lavoro laboratoriale che alterni incontri e approfondimenti a momenti di puro laboratorio, mettendo alla prova le idee di spettacolo che, setacciando, ci sembreranno quelle più necessarie, per far vincere la forza e le ragioni del palco. Vorrei intraprendere un processo di ri-creazione del testo, e ripenso ai meccanismi messi in atto per il progetto creato a partire da Disco Pigs di Enda Walsh, dove rivisitammo con un potentissimo corto circuito la Commedia dell’Arte con la danza contemporanea, avendo come medium un testo di oggi ricreato con una lingua popolare inventata, immersa nel crogiuolo delle lingue padane e dello slang.

Infatti un aspetto su cui indagare a fondo sarà proprio la lingua e le parole di Molière, che qui sono veri e propri costumi – o meglio, abiti – verbali che aprono la possibilità di infinite direzioni di lavoro, cito solo la distruzione e l’abbassamento del linguaggio che si opera in Arnolfo e come in uno specchio la conquista della parola da parte della giovanissima Agnese.  Il tutto passato al setaccio di una lingua che nell’originale francese deflagra e scintilla per mezzo del verso e delle rime, lingua che da una parte si fa musica e dall’altra strizza l’occhio continuamente al pubblico con un’infinità di preziose gag verbali.

La musica sarà parte integrante del progetto, dando la possibilità di creare vere e proprie oasi di solo movimento, per svelare l’urgenza di questi corpi in lotta, creando sdoppiamenti di senso e a volte rivelando il movimento interiore dei personaggi da una parte, e dall’altra creando una partitura per i continui e via via sempre più furiosi e deliranti monologhi di Arnolfo. Pensiamo ad una contaminazione elettronica della musica di corte, soprattutto di quella di Jean Baptiste Lully.

Sarà curioso osservare, a chiusura di queste brevi note, che  Simone Weil citerà più volte il rapporto tra il protagonista Arnolfo e la piccola Agnese nel suo ultimo libro L’Attesa di Dio, trovandolo genialmente esemplare dei rapporti di forza legati alla coppia carnefice/vittima, e per me folgorante spunto per iniziare a sporcarmi giocosamente le mani con il fango del lavoro.

Valter Malosti