CLAREL poema e pellegrinaggio in Terra Santa

concerto per voce, oud, chitarre e live electronics 

di Herman Melville

versione italiana e adattamento teatrale di  Valter Malosti
dalla traduzione integrale di Ruggero Bianchi
interpretato e diretto da Valter Malosti
suono e live electronics G.U.P. Alcaro
oud e chitarre Lucia D’Errico
musiche originali Carlo Boccadoro
field recordings a Gerusalemme e Israele Luc Messinezis
luci Francesco Dell’Elba
assistente alla regia
Elena Serra
produzione Teatro di Dioniso / I teatri del Sacro
organizzazione Paolo Ambrosino
amministrazione Paola Falorni

Valter Malosti in uno straordinario e sconosciuto poema di Hermann Melville, uno scosceso massiccio poetico, come dice Elemire Zolla, dove si perdono i confini tra viaggio reale e spirituale, alle fonti del Cristianesimo e dei suoi luoghi d’elezione.

 

IL TESTO

“Clarel è senz’altro la meno conosciuta fra le grandi imprese di Melville. Ma si sa che la sua opera non delude mai ed è piena di rivelazioni anche negli angoli più riposti. Diciottomila versi suddivisi in centocinquanta canti, irti di allusioni e significati occulti, uno scosceso massiccio poetico, versi che fanno «trasalire alla lettura» per la loro «virtù profetica». […] Egli parla ai nostri attimi di pace, di indifferenza, di sovranità; lascia che risuonino tutte le voci, e le estreme di preferenza, quelle che negano ogni senso (mondano) alla vita; permette a ogni germe di crescere e di offrire alla mente il suo frutto: nulla reprime. È un eroe gnostico”.

Elemire Zolla

 

Clarel (Poema e pellegrinaggio in Terrasanta), pubblicato nel 1876 in forma privata, fu stampato postumo solo nel 1924. Il poema-diario venne ispirato da un viaggio in Palestina compiuto da Melville vent’anni prima, fra il 1856 e il ’57. Il viaggio, preceduto da una visita a Londra all’amato amico Hawtorne, che sapeva quanto Melville fosse incessantemente tormentato da un desiderio di fede e dalla disperante lotta per credere, era stato concepito dalla famiglia anche come possibile terapia per uno stato di prostrazione fisica e psicologica che aveva colpito l’autore durante e dopo l’immane sforzo profuso in soli tre anni nella scrittura di Moby Dick e di Pierre, le due opere “titaniche” e metafisiche, che sembravano voler dar fondo all’universo, ma destinate ad un umiliante insuccesso commerciale.

Clarel, un giovane studente americano di teologia, insoddisfatto degli insegnamenti dogmatici ricevuti in patria, decide di recarsi in Palestina. Come i grandi eroi dei romanzi melvilliani Clarel tenterà di superare le soglie dell’esperienza e della conoscenza, e proverà a dare risposta alle grandi questioni del sapere e dell’amore, del rapporto tra il fisico e il metafisico, della verità e del senso ultimo della vita.

In un quadro di tale natura, Clarel viene a rappresentare il pellegrinaggio della speranza: un viaggio alle fonti del Cristianesimo, alle origini di una elusiva e ipotetica Verità e di una sicura sofferenza.

Quest’opera è forse il culmine più angoscioso e poetico del grande “corpus” dei libri melvilliani; forse più ancora di Billy Budd, tradizionalmente ritenuto lavoro emblematico ed epitome perfetta. Socraticamente fedele a uno gnosticismo sofferto, e non certo di maniera, Melville butta nelle fiamme di questa sua scrittura convulsa tutto il peso e il dolore di una ricerca irrisolta.

Chi ama i suoi capolavori – Mardi, Moby Dick, Pierre, The confidence Man, Bartleby, Benito Cereno, Billy Budd, The Encantadas – è costretto a percepire Clarel come un apice e un picco della sua produzione letteraria, anche se non necessariamente come il suo capolavoro formale.

La forza dirompente dei versi di Melville ci hanno indotto a cercare una forma spettacolare scabra, una sorta di concerto per voce, oud, chitarre e live electronics, in un tentativo di teatro musicale che vuole evocare l’invisibile e il mistero di un viaggio interiore e insieme reale.

 

Estratti dalla rassegna stampa

 

>Renato Palazzi – IL SOLE 24ORE – 23 Giugno 2013
A Lucca va in scena il sacro

Per quale motivo si prova sempre un così forte interesse nei confronti dei festival «Teatri del Sacro», pur senza essere necessariamente credenti? Per quale motivo… se ne riparte ogni volta con l’impressione di averne ricavato qualcosa di importante su cui riflettere? Perché questa rassegna, che raccoglie i fermenti più vivi della scena italiana di oggi, lo fa invitandoli a misurarsi su un tema comune, ponendo a confronto le differenze degli stili e dei linguaggi che conducono, attraverso la sacralità del teatro, a un concetto del sacro più alto e assoluto.
La molteplicità degli approcci, delle tecniche rappresentative non costituisce mai unicamente un puro fatto formale. Capita invece, per il suo tramite, di cogliere dei singolari cortocircuiti dialettici: c’è chi, ad esempio, arriva dall’esteriorità più estrema a una sofferta interiorità, e viceversa; c’è chi, partendo da un’astratta spiritualità, riesce a parlare direttamente di se stesso, e chi partendo da se stesso si addentra nei territori di un’accesa spiritualità. C’è chi dimostra, per paradosso, come si possa approdare a un’affermazione di quest’ultima passando proprio dalla sua negazione.
Non sorprende, dunque, che Valter Malosti abbia scelto di affrontare i brucianti versi di Clarel – un poema di Herman Melville su un inquieto pellegrinaggio in Terra Santa – nella forma della performance vocale scandita dalle squassanti sonorità elettroniche di G.u.p. Alcaro e dagli strumenti a corde di Lucia d’Errico, su musiche originali di Carlo Boccadoro. Sorprende invece come egli riesca a suggerire l’intensità di una passione religiosa proprio attraverso il suo contrario, una febbrile ricerca della fede destinata a un inesorabile fallimento.

>Mario Bianchi – Krapp’s Last Post – 14 Giugno 2013 (www.klpteatro.it)
A Lucca il teatro è Sacro

Valter Malosti con il fondamentale apporto delle musiche originali di Carlo Boccadoro, in una sorta di concerto per voce, oud, chitarre e live electronics, ha aperto alla grande la manifestazione regalandoci le parole di una straordinaria e sconosciuta opera di Hermann Melville: “Clarel poema e pellegrinaggio in terra santa”, pubblicato nel 1876 e stampato postumo solo nel 1924. Un’opera in cui il romanziere di Moby Dick narra il suo viaggio, tra reale e spirituale, in Terra Santa, compiuto fra il 1856 e il ’57.
Malosti riesce nell’intento di restituire, con il connubio tra parola e suono, tutta la forza dirompente dei versi di Melville, che cercava, attraverso il suo viaggio e l’incontro con le principali religioni monoteiste, di dare risposte alle grandi domande della vita.

 

Asti – Piccolo Teatro Giraudi
15 ottobre 2013 – ore 21.00