SCHIAPARELLI LIFE (2018) | primo studio

Fra il 1953 e il ’54, Elsa Schiaparelli, fra le più grandi stiliste di tutti i tempi, decide di concludere il
proprio itinerario artistico e professionale, pubblicando un’autobiografia che già nel titolo ne
riassume l’intensità: Shocking life.

Italiana, nata a Roma, in una famiglia colta e ricca di talenti, protagonista fra le due guerre di
quella rivoluzione del costume che avrebbe ispirato molte generazioni future, amica e
collaboratrice di artisti come Dalì, Cocteau, Aragon, Ray, Clair, Duchamps, Sartre, dopo aver
vestito Katharine Hepburn, Lauren Bacall, Greta Garbo, Marlene Dietrich, Elsa decide che quel
“nuovo” mondo non la riguarda più e lo lascia, ritirandosi a vita privata. Il nostro lavoro prova a
evocare questo passaggio, prediligendo un’indagine emotiva sul distacco, tributo necessario ad
ogni cambiamento, all’impossibile impresa di sintetizzare la vita di questa donna straordinaria.
nota

Per un paio d’anni, sul primo isolato di via Garruba a Bari, hanno tenuto il loro fantastico bazar
Atelier 1900, Luciano Lapadula e Vito Antonio Lerario. Esperti di storia della moda e stilisti, sono
stati loro a farci conoscere Elsa ed è con loro che abbiamo incominciato il percorso verso il quarto
ritratto femminile del nostro più recente repertorio. Per questa produzione, oltre alla
collaborazione di un fotografo e scenografo, Maurizio Agostinetto, ci è sembrata felice la
disponibilità di Eleonora Mazzoni, scrittrice, che, condividendo l’impresa, ci ha assistiti nella
redazione del testo. L’attore Marco Grossi e la cartoonist Beatrice Mazzone hanno infine
completato il gruppo dedito alla creazione.

Elsa Schiaparelli (1890-1973) è stata una grande stilista italiana e una delle più influenti figure
nella moda del Novecento. Più vicina all’arte che all’artigianato, è diventata famosa alla fine degli
anni 20 del secolo scorso, quando ancora nella società dominava lo sfarzo decorativo di
superficie e quel “consumo ostentativo” della ricchezza di cui gli uomini del ceto alto investivano
le mogli.
Elsa partecipò da protagonista a quella rivoluzione del costume, degli stili di vita, del relazionarsi
tra i sessi che ancora oggi influenza le nostre esistenze e l’idea stessa di bellezza, creando un
nuovo modello femminile e contribuendo all’emancipazione delle donne. E se la coeva nonché
rivale Chanel le liberò fisicamente dai corsetti e dalle guaine che le ingabbiavano da secoli,
promuovendo con il suo stile sobrio e comodo la naturale mobilità del loro corpo, Elsa le liberò
mentalmente.
La sua idea di bellezza non è mai ovvia, è audace e sfrontata, fuori norma, visto che la norma,
come tutte le categorizzazioni, è arbitraria ed è semplicemente la media che la società trova
accettabile. La Schiaparelli chiese alle donne di osare, di essere creative e uniche. Le invitò a
conoscere se stesse, allontanandosi dai condizionamenti esterni. Ad avere coraggio. E in effetti ci
voleva coraggio per indossare un cappello che era una scarpa girata al contrario! Però chi lo dice
che se un oggetto ha la forma di una scarpa, bisogna metterselo per forza ai piedi? Il significato
delle cose non è forse dato dalle convenzioni a cui siamo abituati? Elsa sfidò queste convenzioni
e invece che ai piedi, la scarpa se la mise, appunto, in testa.
Più surrealista dei surrealisti, fece emergere il mondo nascosto dei sogni e dell’inconscio, lanciando miriadi di novità. Così nacquero gli impermeabili per la sera e i lucchetti per gli abiti. Insieme a Dalì ideò il cappotto a forma di scrivania, con i cassetti, ispirato a uno dei suoi famosi quadri. Il vestito lungo con dipinta un’aragosta, circondata da ciuffi di prezzemolo. Il vestito lacrime, di seta chiaro, con strappi rosa e rossi come se fosse carne viva. Il tailleur nero con tasche rifinite da bocche rosse, che sembravano organi genitali femminili. Il cappello nero col tacco di velluto rosa shocking che
svettava come una piccola colonna. Come un fallo. Utilizzò materiali nuovi come il tweed, il
tessuto escorce d’arbre, le fibre artificiali. Il cellophane. La paglia. Persino il vetro. E poi le zip. Zip
che si vedevano. Di colori diversi dagli abiti. Posizionate in luoghi inconsueti. Quelle zip che in
Italia il fascismo vietava, chiamandole “chiusure adulterio”, ecco, lei le metteva anche negli abiti
da sera. La moda era per lei un atto politico.Il nostro lavoro, che intitoliamo SCHIAPARELLI LIFE, intercetta Elsa nell’ultimo periodo della sua vita, quando, chiusa la maison, recuperata, per così dire, una dimensione famigliare, redigerà la
propria autobiografia. Traendo spunto da un suo reale rapporto con due “governanti”, la nostra
azione mette in relazione Elsa con un “maggiordomo” impegnato nell’assisterla e di volta in volta:
nemico, complice, infermiere, servo, figlio… figlia.
In compagnia forse soltanto di un fantasma o di una proiezione della solitudine, Elsa ripercorre la
sua vita, quando, da poco finita la prima guerra mondiale e ancora lontana la seconda, aveva
l’impressione che tutto fosse possibile, e che potesse bastare il talento e l’impegno per vivere
liberi e felici. Rievoca i suoi successi professionali, le sue intuizioni, la sua arte, la sua idea di
bellezza, ma anche le fatiche dell’inizio, il prezzo pagato per l’ambita libertà e le scelte dolorose.
Lei che, abbandonata dal marito mentre era incinta, ha fatto crescere la sua unica figlia (Gogo),
poliomielitica, in collegi rinomati ma lontani, accettando lunghe separazioni per poter continuare a
lavorare. Sottraendoci a un indirizzo meramente narrativo, puntiamo all’evocazione del carattere
e della storia della Schiaparelli attraverso l’esercizio di una relazione inventata: intima ma non
intimista; concreta ma non naturalista. Consapevoli della difficoltà che comporta l’uso
dell’immagine, il lavoro comprenderà una componente visuale, non didascalica, concepita come
espansione del sorprendente immaginario di quest’artista.

Ma come posso spiegarti, Gogo, che la bellezza è sempre inconsueta ed eccentrica, perturbante
e illogica, come l’incontro casuale di una macchina da cucire e di un ombrello su un tavolo
operatorio… E a volte è persino dolorosa, la bellezza, sfuggente e fluida, non imbalsamata in
regole e categorie. Anzi, contraddice tutte le certezze. Va cercata, scovata, rintracciata, e ha
bisogno di tempo, perché non è né evidente né manifesta, a tal punto è profonda. Anche se non
può essere oscura, la bellezza, perché è chiara. È infuocata, ma non urla, non è scomposta. Non
ha preziosità esteriori, è pregiata dentro. È semplice, e la presunzione la distrugge ma è
inscindibilmente legata all’intelligenza. Non va di corsa, però la bellezza è veloce. Non rincorre e
non trascina. Accompagna, sostiene, consola. È coraggiosa, esigente con sé stessa, mai brusca
verso gli altri. È audace e amante del pericolo, la bellezza, e comprende, perdona, salva. Per
sempre, perché lei, la bellezza, lei sì, è eterna.”
(dalla scrittura preliminare in forma di racconto di Eleonora Mazzoni)

 

  • regia Carlo Bruni
  • con Nunzia Antonino e Marco Grossi
  • testo Eleonora Mazzoni
  • scena Maurizio Agostinetto
  • immagini in movimento Bea Mazzone
  • luci  Tea Primiterra, Giuseppe Pesce
  • consulenza costumi  Luciano Lapadula, Vito Antonio Lerario, Maria Pascale
  • con la collaborazione di  sistemaGaribaldi e Linea d’Onda
  • produzione  Casa degli Alfieri | Teatro di Dioniso
  • si ringraziano Rosellina Goffredo e Rossana Farinati per la gentile collaborazione