ORGIA

GIOVEDÌ 23 FEBBRAIO 2017
ASTI  | SPAZIO KOR (EX TEATRO GIRAUDI) | ORE 21.00

di Pier Paolo Pasolini
regia e spazio Licia Lanera

La mia Orgia è la tragedia di chi non sa stare al mondo.
Negando la sua definizione (non più tre , ma due: uno che è sia Uomo che Donna, più una ragazza) , io sono un’unica voce e un unico corpo che racconta l’impossibilità di un essere umano a sottostare a certe leggi sociali, a subire l’inganno della lingua, a imprigionare il corpo in azioni ripetitive, sempre le stesse nel corso della storia.
Ci sono due mondi: uno fatto di paesaggi sconfinati, consolazioni, sorrisi sicuri, inconsapevolezza e armonia, alberi di gelsi , antenati: “Il mondo era così da almeno dodicimila anni”
E un altro, quello della camera dei due sposi, fatto di violenza e paura, di piacere e rimorsi. L’uomo e la donna riescono veramente a comunicare tra loro solo attraverso il linguaggio del corpo, il più violento. Questo gioco sadomasochistico della coppia è pretesto per parlare del rapporto della diversità, esistenziale, con la storia; e a questa tragedia esistenziale, si associa una riflessione sul linguaggio, cioè la negazione della lingua parlata in favore di quella del corpo.
Ne ho fatto un unico ragionamento chirurgico e straziante su come è costretto ad affrontare la propria esistenza chi non riesce in nessun modo ad essere dalla parte del potere, e attraverso il rito della violenza, da entrambi accettato, voluto e desiderato, cerca di sfuggire ai meccanismi della storia.
Questa figura, in sottana e cappuccio, è un corpo e una voce che non trova il proprio posto dentro la società e ragiona e scalcia, piange, ferisce, si nasconde, si offre e alla fine muore. Muore due volte, muore un’infinità di volte. Si ammazza. Poiché solo nella morte si concretizza la volontà di essere liberi.
Ed ecco che vita e morte diventano due concetti vicinissimi e si confondono:
“Infatti cara, soffocato da tutta la vita che c’è nel mio corpo,
io sono preso dalla decisione di dar morte per morire”.

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Avevo letto Orgia la prima volta da ragazzina e ne rimasi molto impressionata, poi, Rodolfo di Giammarco mi invitò a lavorarci su in occasione della rassegna da lui curata Garofano Verde.
Questo testo, benché a mio parere slegato da un certo contesto socio-politico e quindi in parte datato (fu scritto nel 1966), ha la sua universalità nel ragionamento sull’uomo, nel suo strazio più profondo nel non riconoscersi parte di qualcosa, nello stare fuori. Questo ragionamento, insieme a quello della morte nella vita e vita nella morte, ha incontrato i miei interessi più profondi, come essere umano e come artista. Perciò, a questo giro, ho messo da parte l’aspetto autorale più esplicito del mio percorso teatrale, per utilizzare le parole di questo immenso autore, dato che così bene esprimevano il mio pensiero. Quindi oggi, in Orgia, la mia autorialità sta soprattutto nella regia. Nel ridisegnare un contesto che sia a me prossimo e che sia incontro tra Licia e quelle immense parole.
Ho scelto il microfono per risuonare meglio, un cappuccio per trincerarmi, una sottana per ritrovare la mia femminilità, delle Cult ai piedi per cedere alla tentazione della griffe, la musica di Gurdjief per lo strazio e il rap di Eminem per la rivolta.
Ho scelto il nero per la stanza e tre quadri seicenteschi (Lorrain, Caravaggio e Furini) per scandire il tempo che ci separa dalla morte. Come muri bellissimi e inquietanti, scendono dall’alto questi fondali dipinti e tagliano lo spazio ridefinendolo ogni volta. Questa passione che ho per l’iconografia, si traduce qui didascalicamente nelle riproduzioni fatte dal giovane pittore Giorgio Calabrese, che ambientano, sottolineano e definiscono la parola.
Quindi dunque il luogo dove si svolge la vicenda è il palco stesso. La camera della coppia è, nella mia messa in scena, il teatro: con le macchine sceniche, le convenzioni, le luci. E questo luogo per forza tira i ballo lo spettatore, lo interroga e lo rende testimone di un fatto di morte, suo malgrado:

“Ripeto dunque che se la mia vita
Fosse stata uno spettacolo,
non sarei stato io a trovarmi
davanti al dramma, dovuto, per tradizione, a un contrasto.
Il flash back delle ultime vicende della mia tragedia
Non potrebbero essere state dramma o dilemma, ripeto,
che per la coscienza di un eventuale spettatore.”

Ed ecco che lo spettatore si trova davanti il corpo attore. Come nel testo, così nella messa in scena, lottano il corpo e la parola.  Il corpo dell’attore è esibito, sfiancato, violato e la parola lo incita e poi lo placa, lo esalta e lo distrugge, lo cura e lo violenta.
In un’ora vorrei quindi raccontare l’ultimo estremo atto di vitalità prima di morire.

Licia Lanera

  • con Licia Lanera e Nina Martorana
  • regista assistente Danilo Giuva
  • consulenza artistica Alessandra Di Lernia
  • luci Vincent Longuemare
  • costumi Antonio Piccirilli
  • dipinti Giorgio Calabrese
  • tecnico di produzione Amedeo Russi
  • assistente tecnico Cristian Allegrini
  • organizzazione Antonella Dipierro
  • produzione FIBRE PARALLELE
  • coproduzione Festival delle Colline Torinesi, CO&MA Soc. Coop. Costing & Management
  • e con il sostegno di L’Arboreto-Teatro Dimora di Mondaino
  • si ringrazia Garofano Verde XXII rassegna a cura di Rodolfo Di Giammarco

ph. Luigi Laselva