Quattro drammi torinesi

Non ho più riletto nessuno dei testi raccolti o pubblicati in un libro che il mio editore ha voluto s’intitolasse, appunto, Quattro atti profani. Più lontano è il ricordo che talvolta sta alla base di un testo teatrale e più fervida è l’immaginazione che restituisce – in un ordine forse arbitrario, sicuramente misterioso nel suo essere terribilmente vero e meravigliosamente falso – i fatti che vengono a rappresentare.
Casualmente, tempo fa, frugando tra le mie scartoffie, mi capitò tra le mani il dattiloscritto di Lustrini. Per entrare nello spirito di questi quattro drammi torinesi è necessario entrare nel mondo di Lustrini, conoscerne alcuni aspetti. Il mondo di Lustrini è fatto di scali ferroviari: il Vallino, Porta Susa, Vanchiglia, e altri ancora. È fatto di uomini come il Nazareno, che non lavorava più perché “scoppiato” dal troppo vino cattivo e dalle notti trascorse in una arcata della galleria che unisce la stazione di Porta Susa a quella di Porta Nuova. Ognuna di quelle nicchie ipogee era occupata da un profugo istriano provvisoriamente senza casa, o da un malmaritato fuggito dalla fabbrica, dalla moglie e dai figli, o da un fascista che all’epoca della conquista dell’Impero, alla quale aveva partecipato da volontario (poteva avere venticinque anni) ora, crollato il fascismo (che bei tempi quando la lira faceva aggio sull’oro, amava ripetere) povero, un vecchio sdentato di quarantacinque o quarantasei anni, senza più forze, non appena riusciva a rimediare un cappotto decente dall’ “armadio del povero”, correva a venderlo a Porta Palazzo per potersi ubriacare dopo avere mangiato una “pietosa” al convento dei Francescani.

Antonio Tarantino

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Il testo integrale dell’intervento è pubblicato in
Teatro Carignano, Gli attori – a cura di Mario Martone e Guido Davico Bonino